Quando l'abbandono dei passeggeri al proprio destino diventa un quadro celebre

Théodore Géricault si ispirò a un tragico evento, causato dall'inettitudine e dal classismo del comandante della fregata francese "Méduse", per il suo capolavoro, "La zattera della Medusa"

26 January 2012 | di Redazione Daily Nautica

Che il capitano di una nave debba essere l’ultimo ad abbandonarla in caso di avaria non solo è cosa nota, ma ultimamente è stato ripetuto alla nausea dai media. Il gesto del comandante della Costa Concordia Francesco Schettino – gravissimo, non bisogna negarlo – non costituisce un caso isolato: addirittura, da un episodio di abbandono dei passeggeri al proprio destino da parte del comandante il pittore francese Théodore Géricault trasse quello che è considerato il suo capolavoro, “La zattera della Medusa”.

 

Il quadro si riferisce al naufragio della fregata francese “Méduse”, arenatasi al largo delle coste dell’odierna Mauritania in data 2 luglio 1816. Il comandante della nave, Hugues Duroy de Chaumareys, dovette fronteggiare il problema della scarsità di scialuppe di salvataggio in proporzione ai passeggeri imbarcati, più di 400. Il capitano ordinò di costruire una zattera di fortuna su cui vennero fatti salire 147 passeggeri, tra cui donne e bambini: in teoria,  il barcone improvvisato avrebbe dovuto essere trainato a riva dalle scialuppe, dove si erano accomodati de Chaumareys, i suoi sottoposti e le persone di ceto sociale più elevato.

 

Secondo la versione più accreditata della storia – anche Géricault si era informato bene, avendo intervistato due superstiti e realizzato un modellino del naufragio anticipando di quasi due secoli Bruno Vespa a “Porta a Porta” – a bordo delle scialuppe venne dato l’ordine di recidere le cime che collegavano la zattera: vennero così abbandonate in mezzo al mare 147 persone senza provviste e senza possibilità di manovra. Chi era a bordo delle scialuppe si salvò senza problemi – a quanto pare, all’epoca il diritto di sopravvivere non se lo potevano permettere tutti – mentre gli occupanti della zattera furono costretti a mangiarsi tra loro, alcuni si suicidarono (20 solo la prima notte!) o vennero assassinati. Dopo 13 giorni di mare, arrivarono a riva soltanto 13 persone.

 

Lo scandalo scoppiò il 13 settembre dello stesso anno, quando il foglio “Journal des débats” pubblicò una relazione del chirurgo Henry Savigny, sopravvissuto della zattera: egli raccontava del clima di violenza e sopraffazione fra i sopravvissuti. Gli avversari del governo sottolinearono la discriminazione sofferta dai non-privilegiati e la nomina del comandante de Chaumareys, la cui negligenza è considerata la causa principale del naufragio, arrivando a generare un affare politico che coinvolse e mise in imbarazzo la monarchia francese, recentemente restaurata dopo la disfatta del 1815 subita da Napoleone. Pur sottoposto a corte marziale, visto il suo ceto (Chaumareys era nobile e fedele al Re di Francia), gli fu inflitta una blanda condanna.

 

Théodore Géricault non è stato l’unico a trarre ispirazione dalla vicenda. Nel suo romanzo “Oceano Mare”, lo scrittore Alessandro Baricco racconta del naufragio, nel secondo dei tre libri che compongono l’opera, intitolato “Il ventre del mare”.

 

 

Eugenio Ruocco

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1 commento

  1. gaetano says:

    Schettino ha commesso un grandissimo errore. A seguito del naufragio della costa abbiamo scoperto che gli italiani sono tutti marittimisti che parte di loro gode a farsi fotografare di fronte ad una bara (avetrana e cogne insegnano) che vespa ha scoperto come e’ fatta una nave e che la societa’ armatrice non e’ certamente una “vergine”

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