Alla faccia della crisi: storie di ordinaria scorrettezza in un mercato già provato da mille difficoltà

Due storie di giovani professionisti che hanno cercato di entrare nel mondo della nautica scoprendo spiacevoli sorprese

1 July 2016 | di Redazione Daily Nautica

Che ci sia, o sia stata, una crisi profonda dove le difficoltà non hanno certo risparmiato nessuno è oramai assodato. Che sia difficile trovare un lavoro – qualsiasi – è una dura realtà. Ma i problemi e le peripezie sono solo il riflesso di una situazione data dalle sole difficoltà economiche? Forse no.

Con questo articolo vogliamo allora raccontare le storie vere di 2 persone che oltre a combattere con le problematiche della crisi si trovano anche a subire quotidiani atti di scorrettezza, furberia e a volte anche di inutile pregiudizio.

La prima storia riguarda Andrea (useremo dei nomi fittizi) un giovane ingegnere navale, ecco cosa ci racconta: “Dopo tanti sacrifici sono riuscito a laurearmi in Ing. Navale presso l’università di Genova un paio di anni fa, da allora, dopo anche interessanti esperienze di stage presso 2 società di navigazione (presso dipartimenti tecnici ndr), ho chiaramente cercato come tutti di inserirmi in qualche realtà di settore mandando centinaia di curriculum. La prima batosta l’ho vissuta dopo essere stato chiamato da una compagnia candidandomi per una posizione dove cercavano un ispettore da avviare ad attività di gestione della manutenzione e al vetting per delle navi cisterna. Dopo 600 km di viaggio mi presento e comincio il colloquio. Prima con il DPA, poi con il responsabile manutenzione, poi addirittura con l’armatore. Stesse domande, stesso luogo ma in sequenza.

Dopo aver per la terza volta spiegato e raccontato le mie esperienze (evidentemente inutilmente) mi sento dire: “lei non ha esperienza e credo che voi giovani prima di venire a lavorare per certe mansioni dobbiate sapere già cosa dovete fare”. Peccato che era prevista, almeno leggendo il loro annuncio, un affiancamento!

Da quel momento, capendo evidentemente l’andazzo, decido di provare con delle società di ingegneria. Lì riesco ad essere preso ma senza contratto e completamente in nero con solo un piccolo rimborso spese di 200 Euro al mese. Da allora, sono quasi 6 mesi, questa è la mia vita.”

Questo è il primo capitolo che ci racconta di colloqui schizofrenici e dall’esasperazione di chi, con la scusa che un giovane deve imparare (cosa sacrosanta di per sé, abbiamo fatto tutti gavetta), pretende però il massimo rendimento con il minimo dell’investimento. Questo porta molti a lavorare praticamente sempre sotto ricatto ed essenzialmente per la gloria e con poche, se non nulle, possibilità di stabilizzazione.

Altra storia riguarda Sara che offre consulenze nel settore assicurativo nel campo del diporto, lei è una libera professionista: “Dopo il diploma al nautico, riesco a fare qualche imbarco da allievo con una nota società di navi portacontenitori, a quel tempo (ora Sara ha 30 anni ndr.) era già difficile trovare un imbarco, soprattutto per una ragazza. Non ho avuto sconti: dalle 20 ore sul ponte a contare i container a picchettare l’immancabile ruggine non mi sono persa nulla. I problemi sono arrivati quando al secondo imbarco subisco vessazioni pesanti arrivando anche a riceve dei calci dal mio primo ufficiale, che era dell’est europeo. Da allora ho deciso di smettere, per me era troppo. Dopo alcuni lavori generici (segretaria, cameriera) trovo uno stage in una società assicurativa, dove ho avuto l’opportunità di imparare molto sulle assicurazioni marittime applicate al mondo del diporto. Purtroppo la società non aveva modo di assumermi e dopo 5 mesi di stage, apro una partita iva e avvio un’attività di consulenza, occupandomi di assistenza pre-assicurativa e di sinistri lavorando per studi legali o per gli stessi diportisti da casa. Fin da subito mi scontro con le difficoltà nel tenere aperta la partita iva pagando l’immancabile INPS e l’assicurazione INAIL in tutto circa 3000.00 EUR all’anno, commercialista escluso, che mi viene a costare altri 1200,00 Euro. Peccato che devo comunque pagare il tutto magari senza aver incassato nulla o, peggio, senza essere pagata. Quello che mi capita frequentemente è proprio questo. Molti, quasi tutti, mi richiedono consulenze con l’assurda pretesa, implicita, di non dover pagare nulla. Rispondo sempre a tutte le mail e le telefonate, quando faccio osservare che per il mio lavoro è previsto (naturalmente ndr.) un costo fisso di consulenza alche tutti mi dicono: “Se avrò bisogno le farò sapere”, come se fossi magari io ad averli pregati di contattarmi! Altra storia era, ora non accetto più prestazioni senza vedere prima qualcosa, di ricevere degli incarichi da altre aziende o studi per poi vedere, dopo aver consegnato il lavoro, un bel nulla. Quando addirittura, esasperata, mi sono rivolta ad un avvocato la risposta degli ex clienti era questa: “lei non sa vivere, si farà terra bruciata” oltre il danno la beffa e il ricatto di farmi una brutta nomea nell’ambiente che, purtroppo, è anche piccolo, forse troppo!

Ebbene queste sono le storie quotidiane che molti operatori, di tutti i livelli e di tutte le professionalità, si trovano magari a subire, con crisi in omaggio, pressoché quotidianamente dal sistema italico. Ecco perché, crisi a parte, i problemi sono e saranno anche di tipo culturale. Bisogna capire, pur con le dovute eccezioni, che il capitale umano è una risorsa, prima che una rapa da spremere e che senza investimento, anche solo di tempo, non sarà mai possibile ottenere il professionista finito, di pronto impiego, e magari già con 3-5 anni di esperienza che spesso non si capisce dove e come, tra l’altro, la possa fare senza affrontare un fisiologico periodo di formazione pratica. L’altro aspetto, anch’esso di riflesso culturale, oltre che di correttezza e di buon senso, dovrebbe portare a comprendere che il tempo e le professionalità di tutti, dal calzolaio all’ingegnere, meritano, sempre, di essere pagate oltre che riconosciute.

Se ci fosse questo indispensabile modo di agire, che francamente dovrebbe essere innato e scontato, forse, nonostante la crisi, qualcuno avrebbe modo di lavorare e di vivere del proprio lavoro con un po’ di dignità in più nonostante gli indubbi problemi che affliggono il nostro paese ed il nostro settore.

Daniele Motta

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