Daily cruise, ecco come salvare la nautica!

Vendite di imbarcazioni in Italia crollate (va meglio all'estero), crisi nautica del medio-piccolo diporto, “spauracchi esattoriali”. La recessione si può combattere attraverso soluzioni che trasformino la barca da oggetto superfluo e da esibire in oggetto utile per il nostro benessere

12 November 2012 | di Redazione Daily Nautica

Anche i “medio-ricchi” piangono. Sappiamo tutti come, in questi tempi di crisi, la richiesta di beni voluttuari si sia nettamente ridotta. Oltre alla minore disponibilità economica, le nuove tasse di soggiorno, tasse sulle imbarcazioni, aumenti posti barca, gasolio alle stelle costituiscono un deterrente fondamentale per l’acquisto di un nuovo yacht a motore.

 

Dall’analisi del CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) stilata lo scorso Aprile in riferimento all’andamento del mercato nautico italiano, emerge che il settore dei mega yacht superiori ai 30 m subisce solo in minima parte gli effetti della crisi. Certamente, come più volte sottolineato, se il gap mondiale tra ricchi e poveri si sta ampliando sempre di più, l’élite di privilegiati che poteva permettersi l’acquisto di un megayacht prima del 2008 oggi può tornare senza troppe titubanze a considerare l’ipotesi di un nuovo “giocattolo”.

 

La recessione che ha colpito la cantieristica italiana è stata infatti molto più contenuta in fase export, coinvolgendo per la maggior parte armatori stranieri (vedasi magnati russi, sceicchi arabi e via dicendo). Forse per lo spauracchio della cartella esattoriale, l’imprenditore di casa nostra sembra invece aver rinunciato al weekend sotto costa, provocando il conseguente calo del settore daily-cruise.

 

Ciò che non risulta chiaro è la risposta dell’industria nautica a questo dato ormai evidente: su cosa bisogna puntare per risollevare una fetta di mercato così sofferente? Squadra che vince non si cambia, dice il proverbio. A parte qualche rara eccezione utile a riempire le copertine delle riviste di settore, i mega yacht di grandi dimensioni sono sempre uguali a se stessi, all’insegna di una tradizione che, evidentemente, risulta più efficace di scafi multi-color, forme avveniristiche e light design.

 

Il classico motoscafo semi-cabinato è al contrario ormai superato e non riesce ad emergere dalla crisi globale. Mentre le case automobilistiche stanno puntando tutte sulla propulsione ibrida e quindi sul risparmio di carburante e sulla sicurezza, in campo nautico, nonostante frequenti tentativi da parte delle aziende, l’ecosostenibilità non tira granché. Perché lo yacht rappresenta il simbolo per eccellenza del consumismo. La barca è “la cosa in più”, è il superfluo.

 

Forse cercando di stupire con linee innovative, prestazioni da offshore, design firmato da archi-star di fama mondiale, si sta sbagliando rotta. Forse non è necessario cambiare la barca in sé, ma l’idea stessa che ne abbiamo: lo yacht non dovrebbe più rappresentare uno status symbol, ma qualcosa che ci fa stare bene, ci fa sentire liberi e che ci fa evadere da un’opprimente quotidianità. Bisognerebbe tornare sempre di più allo studio di soluzioni funzionali che rendano veramente piacevole una giornata, un weekend o una vacanza. Soluzioni che trasformino la barca da oggetto superfluo e da esibire in oggetto utile per il nostro benessere.

 

Anita Verner

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4 commenti

  1. AlessandroG says:

    Credo che non usciremo mai dallo stereotipo barca=lusso. Anzi mi sembra che ogni spot, articolo o news riguardo alla nautica cerchi proprio di assodare questo connubio. Da qui tutto il resto… porti che si sentono in diritto di praticare prezzi fuori di testa; capitaneria che multano solo per fare cassa, accessori che costano in proporzione al futile fabbisogno (lusso) piuttosto che al vero valore. Ergo… capisco e approvo l’espatrio…

  2. PiGi says:

    Possibile che in questo paese tutto debba essere oggetto di tasse in modo esagerato? Dovrà pur esserci un modo di far capire ai nostri governanti che le tasse sono un mezzo con il quale lo stato paga servizi che vengono resi disponibili ai cittadini e non un fine, bieco e prepotente, con il quale fare soldi per mantenere se stesso…
    La barca può essere una risposta al proprio desiderio di ostentazione o alla passione per il mare, poco cambia. Al pari di moltissime altre cose (automobili, case, motocicli, ecc) la barca costituisce elemento che da lavoro, quindi ricchezza aggiuntiva dalla quale prelevare il denaro necessario ai servizi comuni rendendo nel contempo possibile ai cittadini vivere con soddisfazione.
    Se così fosse sarei contento di pagare le tasse, diversamente continuerò a tentare di sopravvivere sentendomi derubato e privato di quello che ritengo un mio diritto: Vivere.

  3. Rolando says:

    Bisognerebbe prendere atto che la barca non è una villa al mare ma un mezzo che per stare “nel mare” deve essere progettato, costruito e gestito con le necessarie norme e misure di sicurezza.
    I servizi accessori (manutenzioni/riparazioni etc) dovrebbero essere effettuate da personale altamente qualificato e certificato mentre nel mercato abbondano “specialisti improvvisati e pseudo periti”.
    D’altra parte l’Italia è un paese di santi e navigatori; gli armatori sono quello che sono ed i Romani per vincere una guerra marittima hanno adottato un sistema di combattimento terrestre!!!!!
    Rolando

  4. BarcAncorata says:

    Piangersi addosso é carenza di competenze professionali, nei cestini dei tabacchini d’Italia tutti i giorni ci sono miliardi di euro giocati e grattati, con tutte le tasse dovute, pero’ nessuno si lamenta.

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