Ecco a voi Braavoo, il robot anti-inquinamento

E un progetto europeo che si sta svolgendo all'Istituto per l'Ambiente Marino Costiero del Cnr a Messina. La nave robot ha lo scopo di analizzare l'acqua del mare e avvertire in caso di inquinamento

3 June 2016 | di Redazione Daily Nautica

Si chiama Braavoo ed è un robot in grado di analizzare in tempo reale campioni di acqua marina e stabilire se vi sono presenti forme di inquinamento ed eventualmente di quale tipo. Esistono infatti diverse tipologie di inquinamento (da idrocarburi, da batteri, da antibiotici, da metalli pesanti, da pesticidi, eccetera) e Braavoo è in grado di dire a quale di queste categorie il campione analizzato corrisponde. Ma come funziona di preciso?

John Wallace, ingegnere ambientale, ha spiegato che “La cosa fantastica di questa imbarcazione sono i biosensori. Attualmente, per esempio, stiamo ricercando batteri che producono tossine. Normalmente, per individuarle, va prelevato il campione, che poi va portato in laboratorio per essere analizzato. Questo richiede almeno un giorno di tempo. Ma con i biosensori bastano poche ore”.

Braavoo è un progetto europeo che si sta svolgendo all’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Cnr a Messina, dove i ricercatori stanno sperimentando i biosensori in una piscina simulando un’eventuale fuoriuscita di petrolio. Lo scopo di questa nuova tecnologia è quello di dare l’allarme in caso di inquinamento e di essere di supporto durante le operazioni di bonifica. “Ci sono sensori che sono specifici per alcuni tipi di idrocarburi e verranno testati nell’arco di 5 giorni. Durante questo periodo simuleremo anche un clean up, che è una procedura che fa parte del Piano di emergenza nazionale. Grazie a questi biosensori, noi diamo uno stato di allerta, quindi un primo campanello di allarme, che ci può indicare la strategia giusta su come intervenire dopo la raccolta del petrolio” ha dichiarato la microbiologa Renata Denaro.

Ma i ricercatori stanno anche sperimentando i cosiddetti “lab on a chip“, ovvero laboratori miniaturizzati: nello specifico stanno lavorando su tre tipi di sensori, che sfruttano alghe, batteri o anticorpi che reagiscono emettendo luce. Vitali Maffenbeier, microbiologo dell’Università di Losanna spiega: “Qui ci sono batteri diversi. Ne prendiamo un campione, piccolo come una goccia d’acqua, e lo mettiamo nel chip. Se nel campione ci sono molti metalli pesanti, i batteri emettono una grande quantità di luce. Se di metalli pesanti ce ne sono pochi, la luce emessa dai batteri sarà meno intensa. Ecco come riusciamo a misurare la quantità di inquinanti”.

Tramite i batteri, dunque, è possibile ottenere informazioni sullo stato di salute del mare che con le analisi tradizionali sarebbero impossibile da ricavare, e con l’aiuto dei biosensori in particolare sarà possibile valutare quanto l’agente contaminante possa essere veramente pericoloso, il suo livello di tossicità, oppure ancora un generale stato di stress.

Chiara Biffoni

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