Viaggio nel tempo: quando la navigazione era senza gps

Oggi è facile per tutti, ma un tempo la navigazione era un affare da veri marinai, ma nell'era del gps basta andar per mare per essere navigator

22 October 2015 | di Redazione Daily Nautica

Nell’era dei satelliti tutti, mi riferisco, soprattutto, ai diportisti, tutti ci sentiamo dei “navigatori”. È sufficiente avere quella preziosa scatoletta che riceve ed elabora i segnali radio dei satelliti per poter affermare che “so navigare”? no di certo.
Certamente, nel bene o nel male, il GPS ha favorito l’espansione nella nautica da diporto e di altri settori dei trasporti ed ha offerto servizi una volta inimmaginabili come è avvenuto al trasporto su gomma.
Sino agli anni ’70, le imbarcazioni da diporto avevano in dotazione una bussola magnetica, compensata? non sempre, ed un log. Lo stesso dicasi per tutti gli yachts da regata con qualche radiogoniometro come eccezione. Le grandi regate oceaniche, come la prima regata intorno al mondo, la Whitbread Round the World Race, del 1973, vedevano la partecipazione, molto spesso, di navigators professionisti ovvero provenienti dalle marine militari o mercantili.

Non a caso, il Corsaro II, un bellissimo yawl, della Marina Militare impiegato come nave scuola e sul quale ho avuto l’onore di veleggiare durante il periodo trascorso in Accademia, vinse diverse regate oceaniche proprio perché aveva un comandante ed un equipaggio di veri professionisti.
Il sestante, in quegli anni, era considerato ancora il “segno del comando”. Le navi mercantili avevano a bordo solo sestante e radar, il radiogoniometro era obbligatorio averlo ma veniva usato solo in casi eccezionali. Quelle navi se ne andavano “tranquillamente” in giro per tutto il globo. Quando si doveva osservare la meridiana si assisteva ad una vera cerimonia a cui partecipavano tutti, dal Comandante all’ultimo Allievo e tutti con i loro sestanti personali in mano.
Tornando agli yachts, chi lo sapeva impiegare per determinare la sua posizione in mare non è detto che vinceva ma certamente giungeva al traguardo. Una regata oceanica come la Whitbread citata aveva ed ha bisogno di conoscenze che riguardano soprattutto la climatologia e la meteorologia oltre che di conoscenze e competenze di navigazione, i Roaring Forties non hanno mai reso la navigazione facile a nessuno: la pianificazione della navigazione è fondamentale.
Oggi, grazie allo sviluppo tecnologico, riceviamo di tutto tramite i satelliti meteorologici e i diversi sistemi di telecomunicazioni ma in quegli anni non era così.
Bisognava avere a bordo un radiotelegrafista per ricevere bollettini e carte sinottiche. Pensate che cosa fosse ricevere un bollettino meteo o una carta sinottica, ci voleva una pazienza di Giobbe ma ne valeva la pena e pensare che qualcuno è riuscito a vincere delle regate con questi metodi.
Non avendo a bordo un radiotelegrafista, la scelta obbligata nella pianificazione di una traversata oceanica, era quella climatologica. L’ Ocean passages for the World o le Routeing Charts dell’Admirlaty (UKHO), erano, e sono, la pubblicazione e le carte nautiche che dovevano essere consultate per la pianificazione della rotta. I dati in esse contenuti sono affidabili quando le stagioni vanno a regime, l’inverno è inverno, l’estate è estate. In caso contrario, i dati riportati non possono essere considerati attendibili e si poteva correre il rischio di trovare una zona di bassa pressione al posto di una zona di alta pressione con un diverso regime di venti e di onde.
In quegli anni, per noi italiani, Cino Ricci a parte, era difficile vincere regate fuori dal Mediterraneo, fuori dagli Stretti, come quelle dell’Admiral’s Cup (vittoria che arrivò poi nel 1995), competizione a squadre che non si disputa più, è rimasta la sola Fastnet Race.
Il Solent, il Channel, l’Irish Sea erano le acque dei campi di regata, acque con un comune denominatore: le correnti di marea … quando il tempo era bello.
La determinazione della corrente di marea non era e non è un calcolo semplice. Una volta calcolata l’ora dello stabilimento della marea, alle spring o alle neap tides, con le effemeridi nautiche e le Tide Tables, dell’Admiralty si entrava in appositi manuali come quello del Solent o del Channel, editi dall’Admirlaty, e si aveva la distribuzione delle correnti di marea per le ore di transito in quel tratto di mare.
I dati si potevano e si possono leggere su apposite tabelle riportate direttamente sulle carte nautiche inglesi mentre, per i nostri mari, il calcolo per determinare le correnti di marea dello Stretto di Messina può essere eseguito con le Tavole di Marea dell’Istituto Idrografico della Marina.
È bene ribadire che un’imbarcazione a vela, aggiungerei dislocante, ha bisogno di sfruttare le correnti di marea o superficiali che siano, pena una ridotta velocità rispetto al fondo e lo stesso dicasi per il vento e la direzione del moto ondoso.

Si ringrazia il Prof. Antonio Caputo per i testi e per le fonti elaborate per questo articolo.

Daniele Motta
Perito e Consulente Navale

www.perizienavali.it – e-mail: info@studiomcs.org
Tel. +39 389 006 3921

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