Alla scoperta del bisso, l’indescrivibile “seta di mare” troppo preziosa per essere venduta

Un museo a Sant’Antioco racconta la storia della principessa che regalò all’isola il segreto per tessere le secrezioni della pinna nobilis

Si narra che di bisso fosse intessuta la tunica che il saggio re Salomone indossava nei giorni di festa. Troppo prezioso per essere venduto o acquistato, il bisso poteva essere solo il regalo che un monarca fa ad un altro monarca. O, per tornare ai nostri giorni, che un presidente fa ad un altro presidente. Come Bill Clinton che ne possedeva un’intera cravatta, oggi esposta al museo presidenziale di Washington.

Per secoli, la sua origine fu tenuta segreta, per secoli la sua lavorazione venne occultata. Finché una principessa di Caldea di nome Giulia Berenice, figlia del re Erode Agrippa, si invaghì di Tito, figlio dell’imperatore Vespasiano Augusto e futuro re di Roma, che all’epoca era un semplice generale. La tradizione giudaico cristiana vede in Berenice una peccatrice irrecuperabile, un ricettacolo di tutti i peccati del mondo, ma noi preferiamo dare retta al commediografo francese Jean Racine che ha poeticamente raccontato la tragica storia del suo amore reso impossibile dalla “ragion di Stato”.

L’ormai sempre più rara pinna nobilis da cui si ricava il bisso

Congiure di palazzo infatti, costrinsero la nostra Berenice a prendere la strada dell’esilio che la portò alla “quasi isola” di Sant’Antioco, splendida località nel sud ovest della Sardegna, collegata all’isola madre da un lungo e stretto istmo. Qui, la nostra Berenice portò la tradizione del bisso ed insegnò alle donne locali a raccogliere e tessere questa preziosissima fibra. Tradizione che esiste ancora, visto che in questa cittadina troviamo l’unico museo del bisso esistente in tutta la terra. 

Ma adesso è venuto il momento di uscire dalla leggenda e di spiegare cosa è il bisso. Si tratta di una rara fibra tessile di origine animale ricavata dai filamenti secreti delle “pinne nobilis”, quelle specie di cozze giganti – in alcuni casi raggiungono il metro di altezza – che vivono piantate nei fondali del mare Mediterraneo con l’apertura in su. Se vi è capitato di immergervi nel mar Tirreno è facile che abbiate incontrato qualcuno di questi enormi molluschi bivalvi.

Ho letto che, un tempo, gli apneisti raccoglievano questi animali chiamati anche “nacchere” e se li grigliavano a fuoco lento. Pratica da non seguire assolutamente ai giorni nostri. La specie è protetta perché in pericolo di estinzione e va tutelata. Inoltre, si tratta di un organismo filtratore che trattiene tutti gli inquinanti. I biologi lo considerano un importante indicatore ambientale ed è anche grazie a lui se si è potuto monitorare l’inquinamento nucleare causato dagli impianti militari Usa alla Maddalena. Meglio quindi lasciare le pinne dove stanno, salvaguardare l’ambiente, risparmiare rischi alla nostra salute ed evitare mega multe che possono raggiungere anche i 12 mila euro! 

L’ultima maestra di bisso, Chiara Vigo, emerge con un filamento di seta di mare tra le mani

Il bisso insomma, altro non è che la “bava” che la nacchera secerne e che, con un po’ di attenzione, può essere raccolta senza ferire il mollusco. Se capitate in quel di Sant’Antioco, non mancate di fare visita al museo gestito dalla signora Chiara Vigo. A questo link trovate tutte le indicazioni per una imperdibile visita durante la quale “zia” Chiara vi racconterà come si raccoglie, come si colora e come si tessa questa prodigiosa seta regalataci dal mare.

Zia Chiara vi regalerà anche l’indescrivibile sensazione di tenere in mano qualche batuffolo di questo filo marino, che pare impercettibile al tatto, con il quale intesse opere che sono esposte in musei come il British o il Louvre. Attenzione però. Non azzardatevi a chiedere a zia Chiara di vendervene qualche grammo! Il bisso, lo abbiamo scritto in apertura, è troppo prezioso per venire venduto o comprato. Proprio come tutte le più belle cose di questa terra e di questo mare. 

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2 commenti

  1. Max Elliott says:

    Due anni fa ho visitato i musei di Caprera nell’ex borgo militare di Stagnali, recuperato ed adibito a museo. In quell’occasione ho avuto l’opportunità apprezzare il sito, che consiglio agli amanti del mare e della marineria di visitare, ed essere accompagnato da esperti competenti e molto disponibili. Ovviamente non possono mancare le nacchere, animale che popolava abbondantemente i fondali dell’arcipelago della Maddalena. Ho appreso che purtroppo, a causa di un parassita, questa specie è in fase avanzata di estinzione sia in Sardegna che in tutto il resto del Mediterraneo. Sono d’accordo con il lettore hook, ma riguardo alla moria delle nacchere, il problema va ben oltre l’effetto degli ormeggi scriteriati.

  2. hook says:

    Molti anni fa, in occasione di una soste all’isola di San Pietro, ho avuto il piacere e l’onore di vedere una vecchina seduta su dei gradini in una viuzza che lavorava questo bisso facendone un centrino. Esperienza incredibile…. E pensare che in posti come porto Palma a Caprera, proprio dove c’è il mitico centro velico internazionale, è stato da sempre permesso di ancorare nella rada dove c’erano centinaia e centinaia di pinne nobilis, ormai praticamente scomparse soprattutto per questa mai regolata pratica. Pinneggiare oggi nella baia sui bassi fondali è veramente triste, vedendo quel cimitero sterminato di nacchere ormai rotte e adagiate sul fondo, morte da tempo sui tappeti di posidonia….. Vergogna uomo che ti sciacqui la bocca con l’ecologia, questo è quello che… non, lascerai ai tuoi figli.

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