Il “battello dei sogni” di Venezia: la casa sull’acqua della famiglia danese che sconfisse la burocrazia italiana
Nell’isola della Giudecca una famiglia danese ha trasformato in casa un vaporetto di linea abbandonato
Se lo cerchi non lo trovi. Neanche con Google Maps. Ci si arriva, per lo più, per sbaglio, perdendosi tra le calli e le fondamente della Giudecca. “Ma tu guarda! Un vaporetto della Linea 1″, ti vien da chiederti quando te lo trovi davanti. “Come avrà fatto a finire qua, incastrato su questo canale, così lontano dai consueti approdi di navigazione?”. Quando ci sei più vicino, ti accorgi che c’è qualcosa di strano. Di molto strano.
Il bottazzo è stato trasformato in una fioriera per i gerani. Agli oblò ed ai finestrini sono appese tendine colorate. Nel ponte di comando fa bella mostra di sé un accogliente divano con tavolino. Spinto dalla curiosità, ti avvicini alla passerella d’entrata, con tanto di tappetino per pulirti le suole, e subito capisci che la faccenda è ancora più strana di quel che potevi immaginare. Il battello ha un numero civico! Su un cartello in legno, inchiodato su una “bricola” di ormeggio, si legge: “399a”.
Già, perché non di un semplice battello si tratta, ma di una casa in piena regola. Siamo davanti al vaporetto-casa della famiglia Kiersgaard. Meglio conosciuto a Venezia come il “battello dei sogni”. Più avanti vi spiegherò il perché di questo appellativo. Intanto, come avrete già intuito dal cognome, vi confermo che i signori Kiersgaard, Anna e Michael, non sono propriamente indigeni lagunari ma sono nati in Danimarca. Una trentina di anni or sono, ben prima che arrivassero i figli Buster e Amedeo, i due sono venuti in viaggio a Venezia e, come spesso accadde, si sono innamorati della città. Tanto che hanno deciso di viverci. E di viverci in barca!
Michael è un vecchio lupo di mare. Uno di quei tipi che è sempre vissuto in mezzo all’acqua salata. Quando non navigava, lavorava come maestro d’ascia nei cantieri nautici del suo Paese. Michael riuscì a scovare un vecchio vaporetto classe 1935, uno dei primi di quella linea costruttiva che ancora oggi fa passerella su e giù per il Canal Grande. La barca, mezza mangiata dalla vegetazione, era stata abbandonata lungo il Po dopo più di mezzo secolo di onorato servizio. Col senno del poi, mi chiedo quante volte ci sarò salito anche io, per andare a scuola o alle spiagge del Lido, senza immaginare cosa sarebbe diventata.
Il battello stava a galla per scommessa e anche l’opera morta era pronta per il cimitero, ma Anne e Michael non si persero d’animo e, con tanto amore e con tantissima pazienza, ci misero mano, ingegno, costanza e passione. Alla fine dei lavori, affittarono uno spazio acqueo dal Comune, nel canale della Palada che taglia verticalmente l’isola della Giudecca, e trainarono il loro battello casa nel luogo dove, venticinque anni dopo, fa ancora bella mostra di sé, circondato dalle barche dei pescatori dell’isola.
Nel 2010, il vaporetto dei Kiersgaard rischiò di essere demolito per una di quelle assurdità burocratiche che solo nel nostro bene amato Paese possono capitare. Uno zelante funzionario comunale – uno di quelli che se fosse meno zelante sarebbe tanto di guadagnato per tutti – si accorse che era stata accesa un’utenza elettrica al 399a della Giudecca. Eppure a quel numero non risultava nessun permesso edilizio e neppure richieste di condoni.
Onde per cui, pensò lo zelante funzionario, qualcuno doveva aver commesso un abuso edilizio perché, si sa, non c’è casa senza mattoni. E vagli a spiegare che, se la casa è una barca, non c’è bisogno di opere in muratura e che un’imbarcazione non può essere definita un “abuso edilizio”! Purtroppo, se in Danimarca le house boat sono frequenti e regolamentate da specifiche leggi, in Italia non sono riconosciute da nessuna normativa. Dal punto di vista legale, lo zelante funzionario aveva tutte le ragioni dalla sua.
Per difendere il vaporetto si mobilitò l’intera isola della Giudecca che ormai considerava la famiglia Kiersgaard e la loro strana casa, come parte del tessuto urbano dell’isola. Anna, Michael e i loro figli erano benvoluti da tutti e considerati più giudecchini dei giudecchini perché loro avevo scelto l’isola e non ci erano nati per volere divino. Nessuno poteva permettersi di cacciarli dalla loro Giudecca!
Un blogger locale, “Sepoina” (piccola seppia, in veneziano), lanciò una petizione a favore del “battello dei sogni“, come lo chiamò, che raccolse in pochi giorni migliaia di firme. Alla fine della storia, l’allora sindaco, Giorgio Orsoni, riuscì a metterci una pezza e il vaporetto-casa fu graziato, così che ancora oggi continua a meravigliare i veneziani ed i turisti che si perdono tra calli e campielli.
Ho conosciuto Michael al tempo della petizione, per scrivere un articolo per non so più quale giornale. Gli chiesi come gli fosse saltato in mente di trasformare un vaporetto in una casa. Mi rispose che non ci vedeva nulla di straordinario. In una città come Venezia, mi spiegò, “una casa sull’acqua era la scelta più naturale”. Gli ribattei che, per i più, la barca è un mezzo e non un luogo.
Nessun veneziano avrebbe mai preso in considerazione, come soluzione abitativa, una casa sull’acqua. Lui insisteva: “Ma se l’intera città qui, è fatta di case sull’acqua!”. Alla fine dell’intervista, tornando a casa a bordo di un normale vaporetto di linea, mi colse l’estraniante e fastidiosa sensazione che Michael avesse capito Venezia più di me che ci son nato!
Il punto VERO della questione è l’intento del proprietario dell’imbarcazione. Ci spiega o meglio, se lo scopo è per la necessità di abitare personalmente, non vedremmo alcuna contrarietà,; la vedremmo se lo scopo fosse quale mezzo di redditività (ovvero sfruttare le potenziali attrattive della Città).
l’imbarcazione è sempre stata adibita ad uso abitativo, posso assurarlo perché uno dei due figli era in casse con me alle superiori
in generale non vedo che male ci sarebbe stato se fosse stato un mezzo per produrre reddito! se in regola…. il male di Venezia è proprio questa ipocrisia!!! il reddito è un veicolo su cui Venezia ha fondato le sue fortune! ora. sembra un peccato per cui si favorisce l evasione!
ho fatto parte del club “sansonite” e cioe’ di coloro che a causa di una separazione matrimoniale con figli di mezzo sono stati costretti a lasciare la casa allla moglie. Con la mia sansonite per un certo periodo di tempo ho vissuto anche in una barca e ho sperimentato di persona i vari disagi correlati al non poter mettere la propria residenza in una barca. La casa dei sogni e una parte dell’acquario di genova sono gli unici due eaempi che conosco di galleggianti muniti di numero civico. Non ero l’unico a vivere in barca e ho scoperto che molta gente lo fa. Per me, nonostante il periodo particilarmente difficile, è stata una bella esperienza.
Vi risulta che la “casa vaporetto” esista ancora alla Giudecca? Mi sa che la burocrazia, in qualche modo, ha vinto lo stesso.
Sì, sì! La casa – vaporetto è ancora là, beatamente ormeggiata alla Giudecca. E con tanto di cestelli di fiori sui parabordi!
Non c’è più
complimenti al sindaco Giorgio Orsoni: mandiamolo al governo che ha tanto bisogno di persone come lui.
Complimenti ….ai Danesi….avevano capito tutto…!!!!