L’avventuroso viaggio di Pietro Querini, nobiluomo veneziano che partì per le Fiandre, naufragò in Norvegia e scoprì il baccalà – parte 3

Il Capitano da Mar naufraga nell'arcipelago delle Lofoten, oltre il circolo polare artico, e viene soccorso dai generosi pescatori norvegesi

Approfittando di uno dei rari momenti in cui la tempesta smorzò il suo furore, i marinai veneziani calarono in mare le scialuppe di salvataggio e gli affidarono le loro vite. Due erano i  battelli a disposizione. Su quello più piccolo salirono 21 uomini, 47 su quello più grande. Qui prese posto anche Pietro. Le imbarcazioni si sforzarono di procedere vicine, ma presto, il vento riprese a battere l’oceano. Dopo un solo giorno di navigazione, l’imbarcazione più piccola si perse dietro l’orizzonte di Pietro Querini.

Nulla ci è dato sapere sulla sorte dei suoi 21 marinai. Per i 47 uomini rimasti sulla scialuppa più grande cominciò la parte più tragica dell’avventura. Alcuni morirono assiderati dal freddo. Altri perché le provviste e le scorte di acqua terminarono presto, ed impazzirono al punto di bere l’acqua del mare. Venti giorni ancora durò il loro tormento, in balia delle onde, della fame, della sete, del vento gelido che soffiava sopra il circolo polare artico. Sino a che, all’improvviso, la tempesta si placò e un “suavissimo vento per greco (un vento da nord est. Ndr)”, scrive il Querini, spinse la scialuppa su un’isola sconosciuta.

Solo 16 marinai sopravvissuti toccarono terra. L’isola, poco più di uno scoglio, a dir la verità, era quella disabitata di Sandoy, uno dei 365 isolotti che sorgono attorno all’isola più grande di Røst e che, durante l’inverno, che a queste latitudini dura 8 mesi, erano tutti coperti di neve. Per dissetarsi, i marinai ne mangiarono in grande quantità, sino a star male. Deciso a cercare aiuto per sé e per i suoi uomini, Pietro Querini ordinò di rimettere in mare quel che rimaneva della scialuppa e tentare di raggiungere un’isola di fronte che appariva più grande e, forse, abitata. Ma la scialuppa aveva dato tutto quello che poteva dare e, appena messa in mare, affondò.

Pietro fu così costretto a ritornare nello scoglio e si organizzò per sopravvivere in quel luogo abbandonato da dio. Il legno della barca venne usato per scaldarsi col fuoco. La neve sciolta era la riserva idrica. Molluschi, patelle e piccoli pesci diedero sostentamento in quell’inverno baltico. Ma sopravvivere era dura e i marinai continuarono a morire uno alla volta. Solo 13 di loro erano ancora in vita quando, il 28 gennaio, due fratelli pescatori, veleggiando vicino all’isolotto, notarono la presenza di un gruppo di naufraghi ridotti alla disperazione.

I due fratelli tornarono immediatamente al loro villaggio per organizzare una spedizione di soccorso. Dalla vicina isola di Røst, dove viveva una comunità di circa 120 pescatori, salparono due barche piene di viveri e di coperte. I naufraghi furono tratti in salvo e portati nel villaggio. Tra i soccorritori c’era anche un prete che sapeva un po’ di latino. Pietro Querini gli chiese dove caspita erano andati a naufragare e quello gli spiegò che si trovano nell’isola di Røst. “Ah… culo mundi”, gli rispose, in perfetto latinorum, Pietro che non aveva la minima idea di dove fossero Røst, l’arcipelago delle Lofoten e, probabilmente, neppure la Norvegia.

In rosso l’itinerario della Gemma Querina sino al naufragio. In blu, il viaggio di ritorno a Venezia di Pietro Querini

Accudito e coccolato da tutto il villaggio, il mercante veneziano se la prese comoda e decise di svernare nell’isola annotando nel suo diario, come un perfetto antropologo culturale, usi e costumi dei pescatori locali. Usi e costumi che a lui, uomo del Mediterraneo, dovevano apparire così insoliti. A parte l’uso dello stoccafisso, di cui abbiamo parlato nella prima puntata, il Querini fu colpito dalla semplicità e dall’onestà delle donne e degli uomini di queste isole, “un centinaio di pescatori – racconta – si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro .. vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce”. Va sottolineato che il diario di Pietro Querini è, per noi ma anche per i moderni norvegesi, una preziosa testimonianza di come vivevano le comunità di pescatori delle Lofoten nel XV secolo. 

Altra cosa che colpì Pietro fu il fatto che non chiudessero le porte di casa perché tutti si fidavano di tutti e, naturalmente, l’usanza di “stufarsi”, ovvero farsi la sauna, tutti assieme nudi, uomini e donne. “Questi di detti scogli – spiega – sono uomini purissimi e di bello aspetto, e così le donne sue, e tanta è la loro semplicità  che non curano di chiuder alcuna sua roba, né ancor delle donne loro hanno riguardo. E questo chiaramente comprendemmo perché nelle camere dove dormivano mariti e moglie e le loro figliuole, alloggiavamo ancora noi, e nel conspetto nostro nudissime si spogliavano quando volevano andar in letto. E avendo per costume di stufarsi il giovedì, si spogliavano a casa e nudissime per il trar d’un balestro (un tiro d’arco. ndr) andavano a trovar la stufa, mescolandosi con gli uomini”. 

Una “usanza locale” che certamente avrà fatto strabuzzare gli occhi ai nostri marinai. E vien da pensare che qualcuno di loro ci abbia pure provato, con quelle donne “di bello aspetto”. Ma senza troppo successo, perché, scrive sempre il nostro Pietro, queste ragazze “hanno così gran fervore per i precetti divini, che neppure sanno cosa sia la fornicazione o l’adulterio”. Quattro mesi dopo, il 15 maggio del 1432, quando l’isola fu benedetta dai primi tepori di primavera, Pietro Querini salutò gli ospitali abitanti di Røst per far ritorno in patria ma prima si fece regalare una sessantina di stoccafissi essiccati, deciso a far conoscere questo rivoluzionario alimento a lunghissima conservazione ai mercanti della Serenissima.

Anche il viaggio di ritorno fu lungo e avventuroso. I pescatori lo accompagnarono fino al porto di Bergen. Da qui, via terra, il Querini scese fino a Trondheim, in Norvegia e quindi raggiunse Vadstena, in Svezia, con l’obiettivo di trovare un’imbarcazione che lo portasse a Londra, dove si era organizzata una fiorente comunità mercantile veneziana. Nella capitale inglese, il nostro nobiluomo venne accolto con tutti gli onori che spettavano ad un patrizio della Serenissima Repubblica e gli venne organizzato il viaggio di ritorno. Dopo 24 giorni di cavallo, il 12 ottobre 1432, il nostro Capitano da Mar  rivide finalmente la sua città natale. Nel suo bagaglio c’erano ancora gli stoccafissi di Røst, pronti per essere consegnati al Doge e ai nobili mercanti del Maggior Consiglio.

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1 commento

  1. francesco santelli says:

    Veramente interessante

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