Meteo: quando Portofino ha il cappello!

Il campione di vela Andrea Henriquet accompagna i nostri lettori in un appassionante ed istruttivo viaggio alla scoperta dei marinai 4.0

Il dito che picchietta sul barometro di casa per verificare la tendenza, l’occhio del nonno esperto, vecchio comandante di Marina che, dopo aver controllato la tendenza, guarda alla finestra verso ponente, oltre il monte di Portofino, e dà le ultime raccomandazioni al nipotino, ansioso di aspettare il verdetto: “Vai ma rimani entro la diga. Se monta scirocco e comincia a fare le ochette rientra subito…”.

Gesti antichi, la necessità di interpretare i segni ambientali, di “sentire” i segni del tempo senza altri strumenti che il barometro e la propria esperienza. Il valore di quei gesti rimane tutto e mi ritornano in mente mentre osservo i cinque modelli matematici che calcolano, in funzione delle polari della nostra barca e delle previsioni meteo delle prossime 72 ore, le rotte ottimali per affrontare l’anticiclone di Sant’Elena nel Sud Atlantico.

I modelli più seguiti sono l’europeo ECMWF, l’americano GFS e il francese AROME, che per le prime 24 ore danno la stessa ipotesi di rotta e poi differiscono notevolmente tra loro: questo a significare che l’attendibilità anche degli strumenti più moderni oltre le 48 ore diventa critica. Il punto di partenza dei calcoli è l’analisi su griglie che variano in scala (per i più comuni modelli) da un punto rilevato ogni 3 km a scale più ampie e quindi meno precise. Il problema è che una differenza anche minima sull’analisi di partenza porta in proiezione a differenze importanti sulla simulazione.

Quindi si torna all’analisi di partenza, alla visione dello scenario, dove l’aspetto orografico incide pesantemente sull’evoluzione del tempo, in particolar modo sulla possibilità che aspetti ambientali accelerino o rallentino la velocità del vento, che è sempre il nostro punto di partenza nei ragionamenti da marinai che facciamo. Il confronto con l’esperienza locale non è affatto superato dal progresso ma anzi diventa complementarietà essenziale sia per avere più affidabilità nella previsione sia per mantenere allenato l’occhio sugli elementi ambientali.

Infatti, se può essere molto semplice in mare aperto prevedere direzione e intensità del vento semplicemente con la distanza e la forma di due isobare successive una all’altra, tutto si complica quando le masse d’aria si avvicinano a terra e vengono quindi influenzate dalla tipologia di costa che incontrano. Tutto semplice (o quasi) quando c’è l’alta pressione e si può pensare solo alla brezza termica ma diventa più complicato quando a vincere è il gradiente barico, cioè quando il ticchettio sul barometro, diventata tendenza barometrica e quindi barografo, ci dice che la pressione sta cambiando velocemente.

Allora le considerazioni devono essere fatte sia sui modelli previsionali che sulle osservazioni locali, considerando che un modello, anche nelle sue diverse applicazioni (raffiche, periodo onde, altezza), darà sempre una previsione media e quindi ci si può aspettare che per brevi periodi o in aree particolari la realtà sia diversa dalle previsioni. La visione di un’uscita in barca deve essere ragionata come un film, non come una fotografia, che inizia almeno il giorno prima del liberi e che deve essere monitorato e aggiornato continuamente.

Normalmente l’affidabilità delle previsioni aumenta esponenzialmente dalle 72 ore fino alle 24 ore precedenti e di sicuro confrontare i vari siti meteo serve anche per capire quando concordano tutti e quindi c’è una situazione chiara o quando invece danno previsioni diverse e ci si può immaginare più instabilità. I siti utilizzano modelli matematici come quello europeo o altri, per questo è consigliabile verificare la fonte, per essere sicuri di confrontare siti davvero diversi e non lo stesso modello. Con l’esperienza, poi, si capirà che alcuni modelli sono più affidabili in alcune zone, altri più affidabili sulle precipitazioni e meno sull’intensità del vento, altri ancora tendono a dare meno vento di quello che realmente ci sarà.

Ma, in tutto questo arcipelago infinito di dati e di realtà più o meno virtuali, non perdiamo mai di vista l’orizzonte, la sensazione di confrontarci con gli elementi naturali, quel misto di rispetto, sfida, gioco che ti fa respirare l’aria nuova, che ti entra nella pelle, che ti tiene a pensare, a osservare, a dare un’ultima occhiata al tuo segnavento e ai windex delle teste d’albero vicine prima di mollare l’ultima cima d’ormeggio, prima di sentire la voce “liberi!”.

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