Il relitto delle Ratteghe di Porto Maurizio: la sfortunata storia del piroscafo “Paris et Londres”

Il Paris et Londres è affondato alle Ratteghe di Porto Maurizio il 2 febbraio 1862 mentre tornava da Marsiglia

13 August 2021 | di Paolo Ponga

Nella caccia alle navi affondate – e nella ricerca della loro storia – ci sono grandi soddisfazioni così come delusioni cocenti. A volte riesci a trovare il relitto e alcune informazioni ma senti che manca qualcosa, percepisci che mancano prove certe e che sicuramente ti stanno sfuggendo degli indizi. Perché l’indagine è veramente simile a quella di un investigatore e finché non si hanno tutte le prove, non è possibile essere certi di chi sia il colpevole.

In questa storia il ritrovamento del relitto è stato più che facile, poiché noto persino alla popolazione locale, malgrado i lunghi anni trascorsi dall’affondamento. Scoprire la verità su quanto accadde è risultato, invece, molto più arduo, fino a quando un vero esperto di storie di mare mi ha permesso di comprendere ciò che era successo.

Mi trovo a Imperia, un giorno d’estate, e sto tornando da un’immersione alla Secca di Santo Stefano, effettuata con il Borgomarina diving. Nella zona ci sono alcuni relitti, molti dei quali ho già visitato: il Br20, la Bettolina tedesca di Cervo e il Cycnus. In molti casi si tratta di immersioni un po’ impegnative e quindi da fare in settimana o fuori dalla grande stagione turistica. Tornati ai locali del diving, mi metto a chiacchierare con Alessandro e Filippo.

“Perché, domani, non vieni alle Ratteghe?”, mi chiedono. “È un’immersione per principianti ma ci sono i resti di un vapore della fine dell’Ottocento. Chiglia e ordinate o poco più. Si chiamava Paris et Londres“. Perché no? In più le “Ratteghe” sono diventate, a fine 2020, zona a tutela biologica, nel tentativo di salvaguardare le risorse marine locali e di incrementare il numero dei turisti subacquei e di coloro che fanno snorkeling.

L’immersione si svolge poco fuori il porto turistico di Porto Maurizio, davanti alla passeggiata degli innamorati, e non supera i 6 metri di profondità. La visibilità non è il massimo per le foto, perché un po’ di correntina solleva la sabbia e rende difficoltoso ottenere immagini nitide. Ma i miseri resti delle ordinate e qualche lastra di ferro si vedono benissimo.

Difficile avere un’idea esatta delle dimensioni ma facile capire il motivo dell’affondamento: poco al largo della città, davanti al promontorio, c’è un costone di roccia che arriva assai vicino alla superficie. Sicuramente il vapore è passato troppo vicino a riva, finendo per urtare violentemente le rocce nascoste sotto le onde del mare.

Tornati al diving, gli amici mi raccontano la leggenda, che ritroverò anche in rete. A metà Ottocento un piroscafo stava ritornando in città carico di merci. Il suo capitano aveva una fidanzata che aveva avvisato del suo imminente arrivo. Lei era rimasta a salutarlo da una terrazza sulla passeggiata e lui era passato molto vicino a terra per farsi bello con il suo amore.

Troppo vicino a terra e la nave finì per urtare gli scogli sommersi. Perse così il suo carico di stracci, che finirono lungo la riva di Porto Maurizio e da allora lo scoglio venne chiamato “Battistrasse“. Per lungo tempo i resti della nave rimasero ben visibili da terra nelle giornate di mare calmo e limpido. Ora sono in parte affondati sotto la sabbia.

Una volta a casa comincio la ricerca, che all’inizio si rivela difficile e poco fruttuosa. Trovo un racconto romanzato ma con qualche errore storico. I consueti testi sui relitti e gli affondamenti aiutano poco, giusto qualche nota. Su internet non ci sono notizie, immagini, storie. Nulla. Comincio, allora, a studiare almeno un poco la storia della città di Imperia, così particolare.

Un’immagine antica è affascinante: quella del cartografo Matteo Vinzoni, che a metà del Settecento visitò il luogo e lo descrisse con il suo colle che guarda il mare, una forte cinta muraria a proteggerlo e i suoi carruggi. Si trattava del Parasio, il centro antico, con la Marina a levante, la Foce a ponente e la Fondura verso nord. Tutto ciò costituiva la città di Porto Maurizio, nota per l’olio e la sua intraprendenza nei commerci, specialmente marittimi.

Nei secoli scorsi non c’era, però, un lungomare o dei moli frangiflutti a proteggere dalle mareggiate e i pescatori della Foce tiravano in secca le barche da pesca direttamente sulla spiaggia, davanti alle case. Quando il mare era brutto, le imbarcazioni che dovevano scaricare le merci in città aspettavano pazientemente che le onde si calmassero. Nel 1923, infine, si decise l’unione con la vicina Oneglia ed altre piccole frazioni, che andarono a costituire la città di Imperia, duplice in ogni sua cosa.

Poco tempo dopo, però, gli amici del Borgomarina diving mi fanno avere la copia di alcune pagine che narrano la storia della sfortunata nave e dell’ancor più sfortunato capitano. Oltre a queste informazioni, mi forniscono la chiave di volta per la conoscenza del relitto, dandomi il contatto del comandante Flavio Serafini, direttore del Museo Navale di Imperia.

Il comandante mi indirizza verso un suo libro edito da Mursia nel 1978, “La città dei Marinai“, ormai esaurito da molti anni, che racconta le vicende del Paris et Londres e del capitano Domenico Massabò. Farò del mio meglio per narrarle con parole mie, ringraziando il comandante Serafini per la cortesia e per le informazioni.

A metà dell’Ottocento il traffico commerciale sfruttava molto più di oggi le vie d’acqua e Porto Maurizio era il centro del traffico marittimo e commerciale della Riviera di Ponente, fino alla costruzione della linea ferroviaria Genova-Ventimiglia, conclusa nel 1872. In quei tempi cominciava a svilupparsi anche la navigazione a vapore, che avrebbe rivoluzionato il trasporto di posta, uomini e merci in tutto il mondo. Naturale che in una città dedita al commercio come Porto Maurizio si cercasse di “cavalcare l’onda” della novità.

Nel 1856 il capitano Paolo Riello e l’armatore Acquarone costituirono così la Società di Armamento, noleggiando un piccolo vapore a ruote in legno, il “Ferruccio“, per il trasporto di persone e derrate tra Genova e la città portorina: era la seconda società di navigazione a vapore nata in Italia, dopo la genovese Zuccoli, che fu poi assorbita da Rubattino.

Nel 1858, visto il successo dell’operazione, fondarono la Società Armatrice Leonardo Acquarone e acquistarono a Bordeaux un piroscafo in legno che venne chiamato “Porto Maurizio” e che contribuì al nostro Risorgimento trasportando truppe francesi e materiale bellico.

In seguito, nel 1861, comprarono a Londra un vapore in ferro ad elica di 300 tonnellate che si chiamava “Paris et Londres” e ne diedero il comando al capitano Domenico Massabò, uomo di grande capacità ed esperienza. Al suo arrivo in città, la folla accorse per vedere questa nave così bella e moderna, che avrebbe solcato il mare toccando Marsiglia, Porto Maurizio, Savona e Genova: avrebbe così trasportato olio ed emigranti verso la Francia e importato da essa mercanzie e manufatti di ogni genere. La sua avventura, tuttavia, durò molto poco.

Il 2 febbraio 1862 il Paris et Londres tornava da Marsiglia con un carico di merci varie, tra cui molte casse di zucchero. Verso le dieci del mattino il capitano Massabò accostò verso terra, forse per salutare la moglie che si trovava in una casa vicina alla chiesa di San Leonardo, mentre tirava un vento teso e il mare stava montando. Per un semplice ma enorme errore di navigazione o per un improvviso guasto alla timoneria, si avvicinò pericolosamente alla costa, prendendo in pieno con la chiglia della nave gli scogli sommersi delle Ratteghe.

I marinai, aiutati dalle barche dei pescatori portorini, fecero di tutto per salvare il battello da morte certa, gettando anche parte del carico in mare per riuscire a disincagliarla. La situazione stava però peggiorando velocemente: le onde si erano ingrossate e la nave imbarcava sempre più acqua. Non ci fu nulla da fare e rimase solo da salvare il salvabile.

Il capitano fu ritenuto responsabile dell’accaduto e su di lui gravarono i costi della perdita del carico e del naviglio, non protetto da assicurazione. Il 12 maggio vennero messi all’asta i rottami, il motore, le caldaie, le vele e tutto ciò che si era potuto salvare dal relitto, mentre Massabò fu costretto a vendere la sua abitazione e quella della moglie, andando a vivere in una povera casetta di pescatori del quartiere Foce.

Si spense nel 1868 per un infarto a soli 59 anni. La Società Acquarone sopravvisse ancora per pochi anni, a causa della concorrenza data dalla costruzione della ferrovia, e l’ultimo vapore, il “Cavour”, venne venduto al genovese Pastorino nel 1875. Nessuna storia eroica, dunque. Solo quella di uomini e marinai, di un unico errore e della sfortuna che talvolta colpisce beffardamente. Non vi sono immagini del Paris et Londres. Quelle riprodotte sono relative a navi di poco successive come epoca e leggermente più grandi ma non dovrebbero essere di molto dissimili.

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3 commenti

  1. Irene says:

    Bellissimo articolo ,grazie per aver raccontato una storia così interessante e un grazie al comandante Serafini.

  2. Renato Graziani says:

    Era la prima nave a vapore d’armamento Portofino. Accostò per l’inchino (come la Costa Concordia) ma quando il comandante ordinò di riprendere il largo il telegrafo di macchina non funzionò ed il resto lo conosciamo.

  3. PAOLO RASTRELLI says:

    ho letto con molto interesse quest’articolo, ben scritto e frutto di una ricerca certamente appassionata.
    Complimenti a chi ci si è dedicato.

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