Ritrovato sottomarino perduto nella Battaglia del Pacifico

Il relitto è stato trovato presso lo Stretto di Malacca, a circa 150 km a sud di Phuket (Thailandia)

10 October 2020 | di Paolo Ponga

Un team di subacquei tecnici ha scoperto il relitto di un sommergibile della Seconda Guerra Mondiale presso lo Stretto di Malacca, a circa 150 km a sud di Phuket (Thailandia). Il gruppo era formato dai francesi Jean Luc Rivoire e Benoit Laborie (provenienti da Singapore), dal belga Ben Reymenants e dall’australiano Lance Horowitz (di sede a Phuket).

La notizia è subito diventata virale nell’ambiente dei cacciatori di relitti. Il team ritiene, infatti, di aver localizzato il famoso sommergibile USS Grenadier (SS-210), uno dei battelli subacquei americani scomparsi durante l’ultima guerra. La storia del battello è ricca di avvenimenti.

Messo in servizio attivo il 1 maggio 1941, era un sottomarino diesel-elettrico classe Tambor lungo 93,62 metri e largo 8,31 metri. Poteva navigare fino alla velocità (considerevole per l’epoca) di 20,4 nodi in superficie e di 8,75 nodi in immersione, con un’autonomia di 11 mila miglia nautiche a 10 nodi: un vero battello oceanico, in grado di svolgere servizio in tutti i mari del mondo.

Era anche pesantemente armato, con 6 tubi lanciasiluri a prua, 4 a poppa e una dotazione totale di 24 siluri, oltre a un cannone da 76 mm per le azioni in superficie e due cannoni antiaerei da 40 e 20 mm. Il nome si riferisce ad un pesce simile al merluzzo.

In seguito all’attacco giapponese a Pearl Harbour, passò dall’Atlantico al Pacifico per svolgere diversi pattugliamenti di guerra e dopo aver affondato un importante trasporto nipponico, il Taiyo Maru, fu dirottato a Midway e a Truk, dove partecipò senza vittorie ad entrambe le battaglie.

Dopo altre missioni condotte più o meno con successo, venne inviato verso lo Stretto di Malacca e la Thailandia per la sua sesta missione di guerra. All’alba del 21 aprile 1943 stava inseguendo due trasporti giapponesi non lontano da Phuket, quando venne avvistato da un aereo nemico. Venne dato immediatamente il comando dell’immersione rapida e una volta arrivato a 40 metri di profondità, un ufficiale commentò, sentito dai suoi uomini: “Dovremmo essere al sicuro adesso”.

In quel momento una forte esplosione scosse il sottomarino e lo fece scivolare precipitosamente verso il fondo del mare, a circa 80 metri di profondità, ben oltre quella operativa. Inoltre, mentre saltavano le luci, divampò un incendio in camera di manovra. Furono momenti terribili per l’equipaggio, che dopo 13 estenuanti ore riuscì a far riemergere la nave ferita col favore del buio, sperando di aver scampato il pericolo e il nemico in agguato.

I motori erano fuori uso e il comandante Fitzgerald utilizzò un espediente d’emergenza: montare una vela per farsi trasportare dal vento. A nulla però valsero gli sforzi dell’equipaggio e all’alba del 22 aprile gli americani videro due veloci navi giapponesi dirigersi verso di loro. A questo punto, mentre bruciavano i documenti riservati, sopraggiunse anche un aereo nemico, che venne tuttavia colpito dall’antiaerea al suo secondo passaggio e fece cadere in acqua il suo siluro, il quale esplose a 200 metri dal sommergibile.

La situazione non forniva via di scampo e il capitano diede l’ordine di affondare il battello. Gli americani vennero catturati dalle navi nemiche: gli 8 ufficiali e i 68 marinai furono portati in Malesia, a Penang, dove vennero picchiati, torturati e affamati per cercare di strappare loro segreti militari. Vennero liberati dopo due anni di prigionia (tranne quattro che morirono per le torture subite) e il Grenadier divenne un simbolo per la US Navy, decorato al valor militare.

I quattro subacquei sono ben noti nell’ambiente. Uno di loro, il belga Ben Reymenants, nel 2019 è stato insignito del titolo di “Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo” per aver partecipato al salvataggio dei ragazzi thailandesi finiti in una grotta l’anno prima, episodio che aveva trovato spazio anche sui giornali italiani.

Seguendo le indicazioni dei pescatori locali, i quattro subacquei hanno fatto avanti e indietro sulla superficie del mare con la loro imbarcazione dotata di un sonar a scansione laterale, fino a quando hanno rilevato qualcosa di interessante alla profondità di 83 metri e a circa 150 km a sud di Phuket.

Quando le condizioni meteomarine l’hanno permesso, hanno effettuato 6 immersioni sul relitto, che giace su un fondo sabbioso, parzialmente coperto da reti da pesca e con i boccaporti completamente aperti, segno che la nave è stata affondata di proposito.

Una conferma immediata sull’identificazione del relitto non è stata possibile, in quanto non sono state trovate targhe o scritte con il suo nome: probabilmente a causa dello sfregamento provocato dalle reti da pesca e dalle ancore dei pescherecci che lavorano nella zona. In compenso, è stato trovato un componente elettrico recante il nome di un’azienda di Chicago fornitrice della Marina degli Stati Uniti per 90 anni.

“È emozionante – ha dichiarato Jean Luc Rivoire – quando arrivi sul fondo dell’oceano in mezzo al nulla e inizi a distinguere la sagoma massiccia. Poi cominci a pensare alla sua storia e alla fortuna di essere i primi ad avvicinarsi ad un sottomarino affondato da 77 anni. È una sensazione davvero potente”.

Il team ha effettuato misurazioni e raccolto immagini di varie parti del sottomarino, confrontandole poi con i disegni dei sommergibili classe Tambor forniti dalla United States National Archives and Records Administration e trovandole corrispondenti. Si dicono così sicuri della sua identificazione al 95% ma il materiale è stato comunque inviato agli uffici storici della Marina americana per un’identificazione certa.

“È il sogno di ogni subacqueo tecnico – ha spiegato Lance Horowitz – trovare un pezzo di storia. Ci alleniamo molto per queste immersioni impegnative, perché ci piace esplorare e trovare ciò che non è facilmente accessibile”. Che è anche una delle prerogative che ci rende così particolari, così umani.

Per gentile concessione del team di subacquei, ecco il video e le immagini dell’impresa.

Paolo Ponga

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