Sicurezza in mare: una riflessione con Umberto Verna sul caso del disperso dal MOD 70 Oman Sail

Un caso che sta facendo molto discutere sul web, abbiamo sentito lo specialista Umberto Verna per vederci più chiaro sul tema della sicurezza in mare nel mondo della vela professionale

15 October 2015 | di Redazione Daily Nautica

La notizia è ormai ufficiale, sono state interrotte le ricerche del velista omanita Mohammed Al Alawi, 26 anni, disperso in mare dal 7 ottobre, quando è finito fuori bordo mentre partecipava al trasferimento del MOD 70 Oman Sail verso Trieste. Non conosciamo le dinamiche dell’incidente, è quindi impossibile fare valutazioni tecniche, ma sicuramente il ragazzo non era legato alla barca.

Una notizia che sul web ha aperto un dibattito sui livelli di sicurezza dei velisti professionisti su questo tipo di trimarani oceanici da regata. Chi conose questi mezzi sa che la scuffia è un’eventualità da tenere in considerazione. Come sottolineato anche in un articolo de La Stampa che ha fatto molto discutere, c’è una scuola di pensiero che sostiene sia pericoloso essere legati a una life line o indossare il giubotto salvagente se ci si ritrova sotto un multiscafo capovolto, in quanto life e giubetti possono rappresentare un impedimento per districarsi dall’attrezzatura della barca.

La sicurezza in mare non è uno scherzo signori. Spesso, troppo spesso, abbiamo assistito a eccessi di confidenza da parte di velisti professionisti: giusto per citare un caso ci viene in mente Bernard Stamm durante l’ultimo Vendée Globe che, in solitaria e non legato, manovrava sullo specchio di poppa con la barca lanciata a bomba sotto gennaker. Un esempio che va oltre il caso specifico dei trimarani, che come dicevamo hanno delle loro peculiarità tecniche che vanno considerate. A nostro avviso però, è prioritario affermare sempre, in ogni caso, con tutti i mezzi e su tutti i mezzi, il messaggio che un giubotto salvagente, legato a una life line, ti salva la vita, perché quando finisci in acqua ti restano solo le speranze o, in alterntiva, le preghiere. Le condotte dei professionisti non sempre devono essere prese come esempio, i velisti amatoriali non possono e non devono prescindere da questi principi.

Abbiamo sentito a tal proposito Umberto Verna, skipper professionista, Direttore del Centro Studi per la sicurezza in mare “I ragazzi del Parsifal” e titolare della Safety World di Lavagna, per avere il parere di uno specialista su questo argomento.

LN – Ha letto la notiza del MOB (man overboard, uomo in mare) sul trimarano in rotta per la Barcolana?
UVSi certo. In qualità di studioso e ricercatore in questo settore, vorrei invitare tutti a non trarre conclusioni affrettate senza conoscere i fatti nel dettaglio, la cosa che piu mi ha colpito è la frase di un articolo on-line che da quasi per acquisita la necessità di non legarsi o non avere strumenti di protezione individuale.
A parte l’aspetto tecnico che può e deve essere fonte di discussione per imparare da questi casi reali, è l’aspetto giornalistico, quello della comunicazione, che fa male. Visto gli studi e le ricerche che facciamo in tutti i campi per elevare il livello di sicurezza, raccontata così pare proprio che il nostro ambiente non  sia in grado di affrontare il problema o addirittura non si ponga il problema accettando l’ineluttabile. Faceva così anche la F1 una volta, ma ora non muore più nessuno! Quando succede ci si lavora sopra alacremente.

LN Non è la prima volta che nel mondo della vela professionale oceanica si ha notizia di uomini dispersi in mare perché non legati e senza giubotto salvagente. Come è possibile una simile sottovalutazione del rischio a questi livelli? (All’ultimo Vendée Globe, oltre al già citato Stamm, Javier Sanso, non legato, finì in mare quando il suo IMOCA perse la chiglia).

UV – Infatti io come fondatore della Safety World ma in particolare il Centro Studi per la sicurezza in mare “i ragazzi del Parsifal” , raccogliamo e analizziamo questi casi  e spesso emerge non una sottovalutazione del rischio ma, ahimè, una rassegnazione e/o una assuefazione al rischio. Certo, questo porta a sottovalutarlo.

LNEsistono tipi di imbarcazioni a vela, come i trimarani MOD 70, in cui la possibilità di scuffia in certe condizioni è una variabile da considerare. Con una barca rovesciata la cintura di sicurezza o il giubbotto salvagente, possono causare delle controindicazioni?
UVDomanda insidiosa. A seconda di come rispondo sarò giudicato e etichettato.  La risposta è si, ma  (e qui vi risponde lo studioso, il ricercatore: lo specialista, non l’esperto):
possiamo noi, nel 2016 con tutte le capacità e tecnologie che abbiamo, fermaci di fronte ad un problema e accettare la morte e la scomparsa (sono due cose diversissime) di un marinaio, un velista, ragazzo con padre e madre o addirittura con figli, accettandola come ineluttabile? Ma quale sarà la difficoltà insormontabile?

LNSe si, quali possono essere le soluzioni a questo problema?
UVDi fronte ad un problema non c’è mai una sola soluzione. Mi scuso con quei lettori che amano le certezze e le risposte certe del loro amico esperto. Partendo da un incidente come questo si possono e si devono aprire vari fronti. Intanto già da anni alcuni atleti e team hanno adottato, anche nei regolamenti, cordoni ombelicali con moschettone anti affogamento, a sgancio rapido. Per cercare di legarsi di più. Sulle derive che scuffiano si usano aiuti al galleggiamento sotto a indumenti fascianti. Da un altro incidente dei catamarani di coppa America si sono adottati autorespiratori. In altri settori si sono studiate modifiche ai regolamenti di costruzione perché lì la vita umana vale più della velocità!  E poi vanno veloci ugualmente ma rischiano meno migliorando il mezzo anche sotto questi aspetti. Potrei dilungarmi ed dovrei spiegare meglio ma non c’ spazio. In conclusione c’è tanto da fare e stiamo facendo tanto ma forse deve ancora crescere la consapevolezza del nostro ambiente che di fronte a una morte bisogna agire!    

Mauro Giuffrè

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6 commenti

  1. Hook says:

    Anche quest’anno a fine agosto, nel mio piccolo, ho effettuato il trasferimento della mia vela di 12 metri dall’arcipelago della Maddalena a Fiumicino, con tappe Portovecchio, Giglio, Riva di Traiano. Questa volta completamente da solo poichè all’ultimo momento il mio amico che solitamente mi accompagna ha dovuto disertare per problemi personali. Dunque un tragitto molto vicino alle 200 miglia totali durante le quali mai, e dico mai, indipendentemente dalle condizioni del mare, mi sarei sognato di non indossare il giubbotto autogonfiabile, tra l’altro annualmente manutenzionato con pastiglia sale e bomboletta gas sempre nuove. Certo, se cadi in mare e galleggi, poi i problemi diventano altri….. però intanto hai una possibilità.

  2. Sergio Abrami says:

    L’argomentare legati sì / legati no mi ricorda la futili discussioni sulla obbligatorietà delle cinture di sicurezza in auto …ma se si capovolge e finisce in un canale, o l’auto prende fuoco… casi statisticamente rari rispetto a tutti gli altri incidenti in cui le cinture di sicurezza salvano la vita o riducono i traumi al 100%. Così il caso di capovolgimento rispetto a tutti i rischi di caduta in mare , soprattutto di notte. Per me nessun dubbio ; salvagente sempre appena inizia un po di mare e di notte salvagente anche e soprattutto in bonaccia e legati. Sono diventati praticissimi, comodi ed economici. Safety first

  3. Alessandro Gorella says:

    Oggigiorno esistono degli EPIRB molto piccoli, addirittura integrati in un orologio.
    A meno che uno non si sia preso una brutta botta in testa, non dovrebbe avere grosse difficoltà ad attivarlo, una volta caduto in acqua.
    Non sono un esperto, forse non sarà la soluzione, però se dovesse succedere a me, preferirei averne uno addosso…
    A.G.

  4. Narese says:

    Non posso che complimentarmi con Verna per la sua, pur stringata, ma accurata analisi.
    A mio avviso non si puo’ paragonare chi va a vela per diporto e passione e chi lo fa professionalmente sulle “macchine” moderne. Pur essendo il mare lo stesso, il modo ed i motivi per affrontarlo sono diversi. Se legarsi e indossare un salvagente (di notte o con cattivo tempo) su una imbarcazione da diporto e’ un must, per dei professionisti, su una imbarcazione da regata, specialmente se le condizioni meteo sono favorevoli (come nel caso del velista omanita Al Alawi), e’ piu che comprensibile, anche se talvolta non condivisibile, il non essere legati.
    Di professionisti della vela dispersi in mare, anche in condizioni meteo accettabili, la cronaca ne e’ piena. Un caso che mi ha particolarmente segnato e’ stato quello dell’amico Eric Tabarly. Diceva sempre, “una mano per te, l’altra per la barca” e non si sarebbe mai legato. Ancora oggi lo rimpiangiamo, era un grande!
    Non cerchiamo pertanto di giudicare con superficialità, ma con comprensione.
    Ho vissuto in Oman quando e’ stata lanciata l’idea della Oman Sail, ho seguito il progetto e ho avuto modo di incontrare i giovani che ambivano ad entrare nel suo equipaggio. Ragazzi seri, ambiziosi e come tutti gli omaniti, grandi amanti del mare con le loro tradizioni veliche che hanno fatto storia.
    Personalmente, capisco come mai non era legato, capisco come mai non avesse un giubbotto di salvataggio, seppur autogonfiabile.
    Con i miei 72 anni, dei quali 50 facendo vela, personalmente mi legherei, pero….li capisco.
    B.V.

  5. fRANCESCO says:

    Viva l’esperto!
    Poteva almeno dire che con un PLB legato alla cintura magari la faceva franca…

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