“La Costituzione riconosca l’insularità”. Le isole italiane vogliono trasporti più agevoli

Il Comitato per l'insularità in Costituzione, nato in Sardegna con l'adesione della Sicilia e di 36 isole minori, lancia una raccolta firme per proporre una legge di iniziativa popolare. Trasversale l'adesione da parte di esponenti dei partiti e delle associazioni

24 July 2018 | di Giuseppe Orrù
Traghetti per la Sardegna al porto di Genova
Traghetti per la Sardegna al porto di Genova

Non solo Sardegna e Sicilia, ma anche tutte le isole minori d’Italia chiedono condizioni di trasporto più agevolate. Nessun privilegio ma la possibilità di avere le stesse condizioni (economiche e logistiche) dei trasporti via terra, in modo che il mare non si trasformi da risorsa a disagio.

In Sardegna è nato il Comitato per l’insularità in Costituzione, a cui hanno aderito anche la Sicilia e 36 isole minori. Il primo atto è stato avviare una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare volta a modificare la Costituzione, in modo che la Carta riconosca il principio di insularità. Trasversale l’adesione da parte di esponenti di partiti e associazioni.

Isole “riconosciute” dalla Costituzione

Riaffermare il principio dell’insularità –spiega la Federazione delle associazioni sarde in Italia, tra i promotori del comitato- significa riconoscere lo svantaggio delle isole, in particolare per quanto riguarda il trasporto di persone e di merci. Riconoscere questo svantaggio significa riaffermare con lo Stato italiano e l’Europa la necessità della continuità territoriale e il riconoscimento del diritto alla mobilità dei cittadini. Il riconoscimento del principio -sottolineano i promotori del comitato- permetterebbe da parte dell’Unione Europea la deroga al divieto degli aiuti di Stato, per compensare lo svantaggio dell’insularità. Non vogliamo assistenzialismo ma diritti e pari opportunità”.

I vincoli dell’Unione Europea

Di fatto se ora lo Stato italiano elargisse dei contributi per ridurre i costi delle tratte da e per le isole, sarebbe accusato dall’Unione Europea di fornire “aiuti di Stato”. Se invece passasse il principio di insularità, l’Europa sarebbe costretta a riconoscere aiuti economici all’Italia per abbattere le problematiche relative all’isolamento e quindi agli alti costi di trasporto di persone e merci. Favorendo dunque la circolazione di tutti alle stesse condizioni nel nostro Paese.

Nonostante il principio di insularità sia contenuto nell’art. 138 del Trattato costitutivo dell’Unione Europea e che la Corte Europea si sia espressa in questo senso, occorre una norma che abbia forza costituzionale, sulla quale siano incardinate misure legislative e che preveda le casistiche e, soprattutto, le misure economiche e finanziarie per superare le condizioni dello svantaggio.

La proposta di legge di iniziativa popolare consiste nella modifica dell’articolo 119 della Costituzione della Repubblica Italiana, aggiungendo, dopo il quinto comma, la frase “La Repubblica riconosce il grave e permanente svantaggio naturale derivante dall’insularità e promuove le misure necessarie a garantire una effettiva parità ed un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili”.

I vantaggi

Avere trasporti agevolati da e per le isole italiane porterebbe vantaggi a tutti. Non solo ai residenti nelle isole. A partire dal turismo: le vacanze nelle isole italiane, soprattutto in alta stagione, per molte famiglie sono, infatti, diventate inaccessibili proprio a causa dei costi dei traghetti e degli aerei che, in molti casi, da soli permetterebbero l’acquisto di un pacchetto “all inclusive” in una località straniera. Le aziende isolane potrebbero spedire a prezzi più vantaggiosi merci in continente e, viceversa, le aziende del continente avrebbero più vantaggi a vendere i loro beni nell’isola.

Oltre al principio di libera circolazione, soprattutto a parità di condizioni, di merci e di persone, lo shipping e le compagnie di navigazione riceverebbero una nuova linfa vitale, potendo emettere biglietti dai prezzi decisamente più accessibili e aumentando così la domanda.

 

Giuseppe Orrù

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